Il percorso di visita
La parte più significativa della residenza Campeggi-Malvezzi si trova al primo piano ed è costituita da una “sala maggiore” con una grande portafinestra che immette ai camminamenti di ronda delle cortine sud della rocca; in alto, sui quattro lati, figurano venti ritratti di antenati illustri dei Malvezzi, tra cui Pirro, il primo conte. In basso sono appesi quattro grandi ovali racchiusi da cornici dorate, opera del ferrarese Felice Torelli (XVII secolo): sono ritratti a figura intera, e in abiti e atteggiamenti d’epoca, Emilio Malvezzi, sua moglie Teresa Sacchetti, Antonio e Matteo Malvezzi. Nel salone è appeso anche un grande arazzo di lana e seta databile alla metà del XVII secolo, su cui spiccano gli stemmi dei Malvezzi e dei Campeggi.
Nella sala attigua, arredata con tavolo rustico in noce, del XVI secolo e cassapanca dello stesso periodo è appeso il dipinto raffigurante la famiglia Campeggi (1633) opera di Lorenzo Pasinelli e, nella parete di fronte, il ritratto di Lorenzo Campeggi.
Si segnalano inoltre la “sala rossa”, con una grande specchiera dorata del XIX secolo, cassapanca cinquecentesca e il soffitto a cassettoni, e la contigua “camera di Pio VII”, che conserva l’arredamento del soggiorno dell’allora vescovo di Imola Barnaba Chiaramonti, prima dell’elezione a Pontefice, nel 1800, costituito da letto, e canterani del ’600; vi si trova anche il quadro “Madonna con bambino” di Alessandro Tiarini, del ’600.
A lato della “sala maggiore” è posta la “sala d’armi”, col soffitto decorato e un lampadario in ferro battuto, contenente armi d’epoca.
Sul lato sinistro della sala maggiore si apre una stanza che dà accesso alla “cappella” dedicata alla Madonna Immacolata, ricavata nello spessore del muro (m 3,30 di profondità) con un altare e confessionale barocchi. Di fronte è posto un pozzo a rasoio, antico trabocchetto militare di difesa interna, scoperto e riportato alla luce negli anni ’70 a seguito di interventi di restauro dell’edificio.
Seguono la “camera da letto” e la “camera degli ospiti”.
Dalla camera degli ospiti si accede ad un ingresso di servizio che presenta tracce di decorazioni del ’400, mentre sulla loggetta sulla corte lato nord si apre un locale con “bagno” realizzato in scagliola.
Dall’appartamento del feudatario, una scala conduce al Torrione dei Bolognesi e, seguendo gli antichi camminamenti di ronda della cortina sud, alla sommità del Torresino. Scendendo nel cortile con loggiato, ci si addentra all’interno dei torrioni dove sono la stanza della tortura, dalla quale si accede alla grande fossa dei supplizi, e le antiche prigioni con le celle di segregazione che conservano ancora le scritte dei detenuti graffite sui muri.
In una cella è incisa la rozza sagoma di uno scheletro seguito da versi scritti da Bartolomeo Monti nel 1640: “O tu che guarda insu/io era come dici tu/tu serrai commo sono io-guarda in questo e spera in Dio”.
Sempre con accesso dal cortile interno, si trovano la lavanderia e la suggestiva cucina, tipico complesso di attrezzatura patriarcale emiliana con madie, casse, tavolo, pozzo, torchio e utensili d’uso quotidiano